giovedì 3 giugno 2010

A un anno dal massacro di Bagua: il Perù e le risorse amazzoniche

Perù, giugno del 2009, gli indigeni amazzonici protestano per due mesi per i decreti legislativi che non riconoscono loro il diritto a decidere della propria terra. Protestano con blocchi stradali e con il blocco della pompa di un impianto petrolifero nella zona di Bagua, regione Alto Amazonas. Circa 700 poliziotti, più elicotteri e carri armati, vengono mandati sul posto. La mattina del 5, alle 6 del mattino circa la polizia assalta un accampamento dei manifestanti, nonostante il termine per la resa fosse stato fissato per le 10. Muoiono circa 35 persone tra polizia (20) e indigeni (12) e altri (3), circa 200 feriti e un numero imprecisato dispersi. Si parla di corpi bruciati o gettati nel fiume. Questi sono “i fatti di Bagua”, o il “Baguazo .

All’indomani del Baguazo, in un discorso pubblico il presidente Garcia dichiara che gli indigeni non sono cittadini di prima categoria, mentre la radio locale La Voz de Bagua” viene chiusa per aver trasmesso in diretta durante le operazioni di polizia. Scattano denunce verso vari leader dell’AIDESEP (Associacion Interetnica de Desarrollo de la Selva Peruana), molti sono gli arresti e il presidente dell’associazione Alberto Pizango si rifugia in Nicaragua -- da cui è tornato la settimana scorsa. Alcuni indigeni arrestati sono tuttora in carcere, e tutti i leader denunciati sono tuttora agli arresti domiciliari. Nessuna azione giudiziaria invece è stata aperta nei confronti della polizia, nonostante circa la metà dei feriti riportasse ferite da arma da fuoco. Il ministro dell’interno rifiuta nettamente la responsabilità nell’accaduto, scaricandola sulla polizia: il concetto di responsabilità politica non viene nemmeno preso in considerazione.

L’anniversario del Baguazo non è solo una occasione per ricordare un evento del passato, dato che un anno dopo i sanguinosi eventi, tutte le condizioni che provocarono le proteste degli indigeni sono ancora li’, e sono ci sono stati dei peggioramenti. Il conflitto tra stato e indigeni iniziò nel 2007, con i decreti di urgenza che annullavano parte dei diritti acquisiti dagli indigeni negli ultimi 40 anni, tanto a livello nazionale che internazionale. Gli indigeni reagirono con manifestazioni e blocchi stradali che durarono più di 50 giorni e terminarono con i fatti Bagua. L’urgenza era definire il Trattato di Libero Commercio (TLC) tra Perù e USA (il Perù ha TLC attivi o in via di definizione con Unione Europea, Canada, Cina, Corea, Giappone). Il diritto da annullare era il diritto delle popolazioni indigene a possedere e amministrare la propria terra, sancito dal Trattato 169 dell’ILO (Organizzazione internazionale del Lavoro, agenzia delle Nazioni Unite, OIT nella sigla in spagnolo), e ratificato dal Perù nel 1994. Il “Convenio 169” stabilisce che qualsiasi attività che si svolga sul territorio indigeno venga sottoposta a “consulta previa”, ovvero che riceva l’autorizzazione preventiva delle popolazioni indigene interessate. I decreti del 2007 annullavano il processo di consulta per i contratti petroliferi e minerari nei territori occupati dalle comunità, abbassavano da 2/3 al 50% la maggioranza necessaria per la vendita a terzi dei territori comunitari, permettevano il cambio di uso della terra e il suo passaggio di proprietà allo stato nel caso di progetti dichiarati “di interesse nazionale”. All’inizio del 2010 l’OIT raccomanda allo stato peruviano di sospendere tutte le concessioni fino a che non saranno consultati i popoli interessati, cosa non avvenuta. Anzi, la sostanza dei decreti è stata confermata il 19 maggio 2010 con la Legge sul Diritto alla Consulta Previa, approvata dal parlamento ma non ancora promulgata. Secondo la commissione di esperti che ha esaminato il testo della legge, questa non rispetta la natura del Convenio 169 già nella definizione di popolo indigeno, non implementa il meccanismo di consulta, e riconosce come territorio indigeno solo quelle parti su cui gli indigeni possono esibire titoli di proprietà. La commissione riconosce anche l’esistenza di uno stato di discriminazione nei confronti degli indigeni, e urge lo stato peruviano a prendere immediate misure educative per eliminare tale razzismo dalla società.

La consulta previa è un argomento scomodo per lo stato, in quanto una sua reale applicazione permetterebbe agli indios di “ostacolare” le società petrolifere e del legno nella loro opera di saccheggio dell’amazzonia. Significa che gli indios avrebbero il potere di imporre condizioni sul lavoro delle società petrolifere, esigere vere previsioni di impatto ambientale e controllare la loro attuazione. Significa non poter permettere il saccheggio indiscriminato dell’Amazzonia, che occupa tra il 50% e il 60% del territorio del Perù. Come se non bastasse, la nuova proposta di legge forestale permetterebbe di utilizzare centinaia di migliaia di ettari di foresta per gli agro-combustibili, e di fatto toglierebbe il limite massimo di estensione delle concessioni forestali, reintroducendo così il latifondo.

Il quadro che si prefigura è quello di una Amazzonia dal tessuto sociale sempre più degradato e che quindi non è in grado di contrastare l’illegalità. L’indigeno abbandona la propria terra perché inquinata o perché cacciato dalle compagnie petrolifere, e va ad affollare le periferie urbane delle città amazzoniche o magari di Lima, dove si trova senza soldi, senza abilità di lavoro urbano, ed esposto a condizioni igieniche pessime. Quelli che rimangono nella foresta lavorano per i petroleros e i madereros (tra cui abbondano gli illegali), quindi sono incapaci di esercitare il benché minimo controllo su quanto avviene sul territorio. Di fatto nella foresta rimangono solo petroleros, madereros, e ampio spazio per attività illecite di ogni tipo, dalla coltivazione e traffico di coca alla prostituzione, dall’estrazione “informale” di oro dai fiumi (con uso non controllato di mercurio, altamente inquinante), al contrabbando di qualsiasi cosa. Il fenomeno è già in atto. Al crescere della dimensione delle concessioni poi, lo strapotere dei concessionari aumenta e si formeranno veri e propri feudi estrattivi.

Gli indios potrebbero impugnare il testo della legge davanti a una corte nazionale o internazionale? Date le circostanze, sembra difficile. Il basso livello educativo, le poche o nulle risorse economiche, le difficoltà di trasporto e comunicazione nella selva sono tutti fattori che giocano contro gli indigeni. Ci sarebbero anche emergenti divisioni interne tra le associazioni indigene, e all’interno dell’AIDESEP stessa. Anche il ritorno di Pizango e le voci di una sua possibile candidatura parlamentare non mettono in buona luce l’AIDESEP presso la sua base e le altre associazioni. Guardando al panorama nazionale, il sostegno dell’opinione pubblica peruviana nei confronti della causa amazzonica è tradizionalmente piuttosto debole, e i maggiori mezzi di informazione stanno facendo passare l’anniversario di Bagua quasi nel silenzio e con nessun approfondimento sulle cause del conflitto. Il rilascio dei giorni scorsi della ex-MRTA Lori Bersenson ha letteralmente monopolizzando i mezzi di informazione, ed eroso le già esigue possibilità di discussione sulla materia.

Il fatto è che il Baguazo è solo la punta dell’iceberg . La questione di fondo è la gestione dell’Amazzonia e quindi l’indirizzamento dell’ economia Peruviana, ovvero il concetto di “sviluppo” del Paese. Il Perù basa la sua economia sulla esportazione di materie prime e dedica scarsa o nessuna attenzione allo sviluppo dell’economia locale o alle questioni sociali. Il ricavato delle risorse tende a fermarsi agli strati più alti della società, mentre secondo alcune stime circa la metà della popolazione è considerata in stato di povertà o povertà estrema. Le popolazioni indigene che si vedranno costrette o convinte con offerte economiche ad uscire dai loro territori, andranno ad aumentare ulteriormente il fenomeno della miseria urbana. D’altro canto, non si tratta solo di un fenomeno di portata nazionale: la posta in gioco di questo conflitto sociale è l’Amazzonia stessa, che con la sua enorme superficie verde è il vero polmone del pianeta. La protezione delle strutture sociali amazzoniche e il loro mantenimento sul territorio è quindi una questione sociale e ambientale che travalica i confini nazionali. E’ anche una questione di particolare urgenza, data l’estrema fragilità dell’ecosistema amazzonico che fa sì che una volta che il bosco primario è stato intaccato non c’è progetto di riforestazione che riesca a ripristinare la sua capacità di fare da polmone al pianeta.

Per l’anniversario, manifestazioni per il 4 e 5 giugno le comunità indigene di tutta l’Amazzonia si stanno mobilitando per commemorare l’anniversario di Bagua, con cortei, messe e scioperi. Anche a Lima sono previsti cortei e discussioni pubbliche sul tema di Bagua e della relazione tra diritti indigeni e protezione dell’Amazzonia. Tra le organizzazioni che già hanno fatto dichiarazioni in sostegno al movimento indigeno ci sono la CGTP (Confederacion General Trabajadores Peruanos), il Fronte Patriottico e alcune organizzazione studentesche. Invece la INDEPA (Instituto Nacional de Desarrollo de los Pueblos Indigenas Andinos, Amazonicos, Afroperuanos) sempre più considerata un braccio politico del governo attuale, non parteciperà alle manifestazioni. Cosa succederà dopo l’anniversario? Senza dubbio gli indigeni continueranno la lotta, o meglio le lotte: per la consulta previa, contro il latifondo forestale, per il riconoscimento all’educazione bilingue.

Potrebbe esserci una seconda Bagua? Il rischio c’è, nonostante le associazioni indigene siano in favore del dialogo. Ma nel caso di un conflitto aperto o generalizzato è difficile immaginare che non entrino in azione anche i cocaleros, sempre più diffusi nell’Amazzonia peruviana... La società peruviana dovrebbe arrivare ad accettare che le popolazioni indigene non sono cittadini di seconda categoria che impediscono “lo sviluppo” del paese. Anzi, la permanenza indigena sul territorio amazzonico è l’unico modo per assicurare il controllo delle attività nella regione e quindi la possibilità di un futuro sociale e ambientale di lungo respiro. Questo non è solo un problema peruviano.