lunedì 12 luglio 2010

Il Peru espelle religioso britannico per le sue posizioni su temi ambientali e diritti degli indigenni


Ho scritto questo pezzo la settimana scorsa. Nel frattempo si è saputo che l'autorità giudiziaria non ha confermato l'espulsione (dettagli da accertare, ne scriverò nei prossimi giorni). A parte questo, molto di quello che ho scritto continua ad essere valido, quindi lo pubblico.

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Dopo 20 anni di servizio religioso in Perù, il religioso britannico Paul Mc Auley è stato espulso dal paese. Presidente di una ONG dedicata ai temi ambientali, aveva preso posizione sull'inquinamento causato dalle società petrolifere nella zona amazzonica peruviana, e si era schierato per il rispetto dei diritti delle popolazioni indigene.

Paul Mc Auley, molto noto nella regione amazzonica pe
ruviana come hermano Paul (fratello Paul), ha ricevuto lo scorso 1 luglio una comunicazione ufficiale del Ministero degli Interni che lo informa dall'avvenuta cancellazione della sua residenza in Perù: ha 7 giorni di tempo per lasciare il paese “volontariamente”, dopo di che sarà espulso. Nel documento, la misura di espulsione è motivata dalla partecipazione del religioso a “marce di protesta per le stra
de principali di Iquitos contro lo stato peruviano”, e “altre azioni che costituiscono alterazione dell'ordine pubblico”. L'arbitrarietà della misura è evidente, dato che si procede all'espulsione dal paese tramite un decreto governativo che afferma, ma non argomenta, pesanti accuse verso il religioso. Del resto, se le accuse sono tanto serie, perché non si usano le normali vie legali?

A poche ore dallo scadere dei sette giorni, la situazione è ancora confusa e non è chiaro cosa succederà. Pochi giorni fa l'hermano ha però dichiarato che si sottometterà alla decisione del governo peruviano: “dopo aver passato una vita a difendere la legalità sarebbe ridicolo che non obbedissi a questa ingiunzione. Non ho alternativa, ma questa decisione del governo mi priva della mia ragione di vita”.

Le comunità indigene e mestize, insieme a gruppi solidali delle città amazzoniche si stanno mobilitando in solidarietà all'hermano Paul e contro l'arbitrarietà della decisiona governativa. Ieri una manifestazione di notevoli dimensioni (considerata la zona e il tema) si è svolta a Iquitos, capitale della regione amazzonica Loreto e sede della residenza dell'hermano. Il popolo Jíbaro-Awajun ha offerto all'hermano il suo territorio como asilo politico: questa è una toccante proposta dal valore però evidentemente solo simbolico. Scarsa o nulla invece il sostegno dell'apparato politico locale. Anzi, il governatore della regione Loreto avrebbe dichiarato che hermano Paul ha già avuto abbastanza tempo per sensibilizzare la popolazione locale sui temi ambientali, ed è quindi tempo di andare via.

Hermano Paul vive in Peru da 20 anni e da 10 risiede stabilmente nella regione Amazzonica di Loreto, dove ha fondato la ONG “Red Ambiental Loreto” (RAL) e si occupa di temi ambientali, che in questa regione sono palesemente legati ai diritti civili della popolazione, soprattutto indigena. Attraverso la RAL, l'hermano Paul ha avviato denunce in vari casi di inquinamento, come quello della contaminazione del Rio Corrientes da parte della società petrolifera Pluspetrol. Nel 2005, la RAL raccolse le prove di una elevata presenza di piombo e cadmio nel sangue dei bambini del popolo indigeno Achuar (nel cui territorio verso il confine tra Perù e Ecuador, si trovano il Rio Corrientes e i pozzi della Pluspetrol) e ottenne che Pluspetrol si impegnasse a riparare il danno ambientale e a pagare un indennizzo alle comunità indigene colpite. Anche recentemente la RAL si era fatta sentire, per il caso della fuoriuscita di circa 500 barili di petrolio greggio da una nave affittata da Pluspetrol avvenuta lo scorso 19 giugno nel Rio Marañon (il fiume che, unendosi al Rio Ucayali, forma il Rio delle Amazzoni).
Oltre alle denunce di inquinamento puntuali, hermano Paul aveva avviato una discussione critica sul recente progetto di legge forestale, che tra le altre cose permetterebbe la concessione di lotti forestali senza alcun vincolo riguardo la loro estensione o proprietà, e quindi di fatto reintrodurrebbe il latifondo e il monopolio produttivo. L'argomento è che questa legge aprirebbe la strada ad attività estrattive su larga scala e non controllate, che distruggerebbero il fragile equilibrio della selva amazzonica.

Questo non è il primo caso in cui il governo peruviano di Alan García denuncia religiosi e missionari. L'anno fatidico è il 2007, quando una serie di decreti presidenziali volti a limitare o cancellare i diritti delle popolazioni indigene amazzoniche innescano i conflitti sociali che poi porteranno, nel giugno 2009, alla morte di 34 persone, nell'episodio che è ricordato come il “Baguazo” (dalla città Bagua, dove si svolsero gli scontri). A partire dal 2007 sono quattro i religiosi, tra cui l'italiano Mario Bartolini, che sono stati denunciati o accusati da parte di parlamentari del partito al governo (APRA) e funzionari dell'esecutivo. Paul Mc Auley è il quinto della serie. Tra i religiosi già oggetto delle attenzioni del governo aprista di Alan García si contano due vescovi e due sacerdoti, tutti del nord peruviano, sia amazzonico che andino. Circolano inoltre voci insistenti di forti pressioni esercitate contro altri stranieri, non religiosi, risiedenti da anni nella regione amazzonica e impegnati in temi ambientali e civili. In alcuni casi si parla di minacce di ritiro della nazionalità peruviana.

Politicamente questa espulsione è un segnale molto forte perché arriva in un momento di forte tensioni tra stato e movimenti indigeni. Il tema scottante è quello della “consulta previa”, stabilito dal trattato 169 dell'ILO, secondo cui qualsiasi attività in territori indigeni deve previamente essere sottoposto a consulta con le popolazioni indigene interessate. Recentemente il presidente Alan ha rifiutato di firmare una legge attuativa che in una sua interpretazione avrebbe potuto concedere il diritto di veto alle popolazioni indigene consultate. A distanza di 16 anni dalla firma del trattato 169, il Perù non ha ancora un meccanismo effettivo per permettere l'esercizio del diritto alla consulta previa, mentre nel frattempo si è continuato ad assegnare nuove concessioni e diritti per attività petrolifere. Una commissione dell'ILO ha stabilito che tutte le concessioni date senza consulta dovrebbero essere bloccate fino a che non si proceda ad una adeguata consulta con le popolazioni interessate, ma anche questo naturalmente non è stato fatto.

Quindi l'espulsione dell'hermano Paul suona come una intimidazione nei confronti di un intero movimento di cittadini che evidentemente non sono considerati come tali dallo stato peruviano. Infatti, nella visione del governo García, l'Amazzonia è una grande miniera i cui prodotti devono servire per lo “sviluppo” del paese, che naturalmente non include l'Amazzonia stessa. L'Amazzonia è di fatto trattata come una colonia interna dello stato peruviano, da cui estrarre ricchezze destinate all'esportazione. Date queste premesse, e l'atteggiamento di forte chiusura del governo peruviano, le tensioni tra la società amazzonica e il governo non possono che aumentare.

giovedì 3 giugno 2010

A un anno dal massacro di Bagua: il Perù e le risorse amazzoniche

Perù, giugno del 2009, gli indigeni amazzonici protestano per due mesi per i decreti legislativi che non riconoscono loro il diritto a decidere della propria terra. Protestano con blocchi stradali e con il blocco della pompa di un impianto petrolifero nella zona di Bagua, regione Alto Amazonas. Circa 700 poliziotti, più elicotteri e carri armati, vengono mandati sul posto. La mattina del 5, alle 6 del mattino circa la polizia assalta un accampamento dei manifestanti, nonostante il termine per la resa fosse stato fissato per le 10. Muoiono circa 35 persone tra polizia (20) e indigeni (12) e altri (3), circa 200 feriti e un numero imprecisato dispersi. Si parla di corpi bruciati o gettati nel fiume. Questi sono “i fatti di Bagua”, o il “Baguazo .

All’indomani del Baguazo, in un discorso pubblico il presidente Garcia dichiara che gli indigeni non sono cittadini di prima categoria, mentre la radio locale La Voz de Bagua” viene chiusa per aver trasmesso in diretta durante le operazioni di polizia. Scattano denunce verso vari leader dell’AIDESEP (Associacion Interetnica de Desarrollo de la Selva Peruana), molti sono gli arresti e il presidente dell’associazione Alberto Pizango si rifugia in Nicaragua -- da cui è tornato la settimana scorsa. Alcuni indigeni arrestati sono tuttora in carcere, e tutti i leader denunciati sono tuttora agli arresti domiciliari. Nessuna azione giudiziaria invece è stata aperta nei confronti della polizia, nonostante circa la metà dei feriti riportasse ferite da arma da fuoco. Il ministro dell’interno rifiuta nettamente la responsabilità nell’accaduto, scaricandola sulla polizia: il concetto di responsabilità politica non viene nemmeno preso in considerazione.

L’anniversario del Baguazo non è solo una occasione per ricordare un evento del passato, dato che un anno dopo i sanguinosi eventi, tutte le condizioni che provocarono le proteste degli indigeni sono ancora li’, e sono ci sono stati dei peggioramenti. Il conflitto tra stato e indigeni iniziò nel 2007, con i decreti di urgenza che annullavano parte dei diritti acquisiti dagli indigeni negli ultimi 40 anni, tanto a livello nazionale che internazionale. Gli indigeni reagirono con manifestazioni e blocchi stradali che durarono più di 50 giorni e terminarono con i fatti Bagua. L’urgenza era definire il Trattato di Libero Commercio (TLC) tra Perù e USA (il Perù ha TLC attivi o in via di definizione con Unione Europea, Canada, Cina, Corea, Giappone). Il diritto da annullare era il diritto delle popolazioni indigene a possedere e amministrare la propria terra, sancito dal Trattato 169 dell’ILO (Organizzazione internazionale del Lavoro, agenzia delle Nazioni Unite, OIT nella sigla in spagnolo), e ratificato dal Perù nel 1994. Il “Convenio 169” stabilisce che qualsiasi attività che si svolga sul territorio indigeno venga sottoposta a “consulta previa”, ovvero che riceva l’autorizzazione preventiva delle popolazioni indigene interessate. I decreti del 2007 annullavano il processo di consulta per i contratti petroliferi e minerari nei territori occupati dalle comunità, abbassavano da 2/3 al 50% la maggioranza necessaria per la vendita a terzi dei territori comunitari, permettevano il cambio di uso della terra e il suo passaggio di proprietà allo stato nel caso di progetti dichiarati “di interesse nazionale”. All’inizio del 2010 l’OIT raccomanda allo stato peruviano di sospendere tutte le concessioni fino a che non saranno consultati i popoli interessati, cosa non avvenuta. Anzi, la sostanza dei decreti è stata confermata il 19 maggio 2010 con la Legge sul Diritto alla Consulta Previa, approvata dal parlamento ma non ancora promulgata. Secondo la commissione di esperti che ha esaminato il testo della legge, questa non rispetta la natura del Convenio 169 già nella definizione di popolo indigeno, non implementa il meccanismo di consulta, e riconosce come territorio indigeno solo quelle parti su cui gli indigeni possono esibire titoli di proprietà. La commissione riconosce anche l’esistenza di uno stato di discriminazione nei confronti degli indigeni, e urge lo stato peruviano a prendere immediate misure educative per eliminare tale razzismo dalla società.

La consulta previa è un argomento scomodo per lo stato, in quanto una sua reale applicazione permetterebbe agli indios di “ostacolare” le società petrolifere e del legno nella loro opera di saccheggio dell’amazzonia. Significa che gli indios avrebbero il potere di imporre condizioni sul lavoro delle società petrolifere, esigere vere previsioni di impatto ambientale e controllare la loro attuazione. Significa non poter permettere il saccheggio indiscriminato dell’Amazzonia, che occupa tra il 50% e il 60% del territorio del Perù. Come se non bastasse, la nuova proposta di legge forestale permetterebbe di utilizzare centinaia di migliaia di ettari di foresta per gli agro-combustibili, e di fatto toglierebbe il limite massimo di estensione delle concessioni forestali, reintroducendo così il latifondo.

Il quadro che si prefigura è quello di una Amazzonia dal tessuto sociale sempre più degradato e che quindi non è in grado di contrastare l’illegalità. L’indigeno abbandona la propria terra perché inquinata o perché cacciato dalle compagnie petrolifere, e va ad affollare le periferie urbane delle città amazzoniche o magari di Lima, dove si trova senza soldi, senza abilità di lavoro urbano, ed esposto a condizioni igieniche pessime. Quelli che rimangono nella foresta lavorano per i petroleros e i madereros (tra cui abbondano gli illegali), quindi sono incapaci di esercitare il benché minimo controllo su quanto avviene sul territorio. Di fatto nella foresta rimangono solo petroleros, madereros, e ampio spazio per attività illecite di ogni tipo, dalla coltivazione e traffico di coca alla prostituzione, dall’estrazione “informale” di oro dai fiumi (con uso non controllato di mercurio, altamente inquinante), al contrabbando di qualsiasi cosa. Il fenomeno è già in atto. Al crescere della dimensione delle concessioni poi, lo strapotere dei concessionari aumenta e si formeranno veri e propri feudi estrattivi.

Gli indios potrebbero impugnare il testo della legge davanti a una corte nazionale o internazionale? Date le circostanze, sembra difficile. Il basso livello educativo, le poche o nulle risorse economiche, le difficoltà di trasporto e comunicazione nella selva sono tutti fattori che giocano contro gli indigeni. Ci sarebbero anche emergenti divisioni interne tra le associazioni indigene, e all’interno dell’AIDESEP stessa. Anche il ritorno di Pizango e le voci di una sua possibile candidatura parlamentare non mettono in buona luce l’AIDESEP presso la sua base e le altre associazioni. Guardando al panorama nazionale, il sostegno dell’opinione pubblica peruviana nei confronti della causa amazzonica è tradizionalmente piuttosto debole, e i maggiori mezzi di informazione stanno facendo passare l’anniversario di Bagua quasi nel silenzio e con nessun approfondimento sulle cause del conflitto. Il rilascio dei giorni scorsi della ex-MRTA Lori Bersenson ha letteralmente monopolizzando i mezzi di informazione, ed eroso le già esigue possibilità di discussione sulla materia.

Il fatto è che il Baguazo è solo la punta dell’iceberg . La questione di fondo è la gestione dell’Amazzonia e quindi l’indirizzamento dell’ economia Peruviana, ovvero il concetto di “sviluppo” del Paese. Il Perù basa la sua economia sulla esportazione di materie prime e dedica scarsa o nessuna attenzione allo sviluppo dell’economia locale o alle questioni sociali. Il ricavato delle risorse tende a fermarsi agli strati più alti della società, mentre secondo alcune stime circa la metà della popolazione è considerata in stato di povertà o povertà estrema. Le popolazioni indigene che si vedranno costrette o convinte con offerte economiche ad uscire dai loro territori, andranno ad aumentare ulteriormente il fenomeno della miseria urbana. D’altro canto, non si tratta solo di un fenomeno di portata nazionale: la posta in gioco di questo conflitto sociale è l’Amazzonia stessa, che con la sua enorme superficie verde è il vero polmone del pianeta. La protezione delle strutture sociali amazzoniche e il loro mantenimento sul territorio è quindi una questione sociale e ambientale che travalica i confini nazionali. E’ anche una questione di particolare urgenza, data l’estrema fragilità dell’ecosistema amazzonico che fa sì che una volta che il bosco primario è stato intaccato non c’è progetto di riforestazione che riesca a ripristinare la sua capacità di fare da polmone al pianeta.

Per l’anniversario, manifestazioni per il 4 e 5 giugno le comunità indigene di tutta l’Amazzonia si stanno mobilitando per commemorare l’anniversario di Bagua, con cortei, messe e scioperi. Anche a Lima sono previsti cortei e discussioni pubbliche sul tema di Bagua e della relazione tra diritti indigeni e protezione dell’Amazzonia. Tra le organizzazioni che già hanno fatto dichiarazioni in sostegno al movimento indigeno ci sono la CGTP (Confederacion General Trabajadores Peruanos), il Fronte Patriottico e alcune organizzazione studentesche. Invece la INDEPA (Instituto Nacional de Desarrollo de los Pueblos Indigenas Andinos, Amazonicos, Afroperuanos) sempre più considerata un braccio politico del governo attuale, non parteciperà alle manifestazioni. Cosa succederà dopo l’anniversario? Senza dubbio gli indigeni continueranno la lotta, o meglio le lotte: per la consulta previa, contro il latifondo forestale, per il riconoscimento all’educazione bilingue.

Potrebbe esserci una seconda Bagua? Il rischio c’è, nonostante le associazioni indigene siano in favore del dialogo. Ma nel caso di un conflitto aperto o generalizzato è difficile immaginare che non entrino in azione anche i cocaleros, sempre più diffusi nell’Amazzonia peruviana... La società peruviana dovrebbe arrivare ad accettare che le popolazioni indigene non sono cittadini di seconda categoria che impediscono “lo sviluppo” del paese. Anzi, la permanenza indigena sul territorio amazzonico è l’unico modo per assicurare il controllo delle attività nella regione e quindi la possibilità di un futuro sociale e ambientale di lungo respiro. Questo non è solo un problema peruviano.

giovedì 27 maggio 2010

Casa a Iquitos

Dopo 2 settimane di albergo, o meglio ospedaje come lo chiamano qui, ho trovato casa. Vivo in Calle Morona, tercera cuadra. Una cuadra e' una unita' di distanza urbana: corrisponde a un isolato, 100 metri per 100, e si dice: “a 5 cuadre da qui”, “a una decina di cuadre”, e cosi' via, anche se il percorso non e' dritto ma bisogna girare a destra e a sinistra. Dopo un po' si fa facilmente la conversione in minuti di cammino, e la cuadra diventa anche unita' di tempo.

Mi dicono che originariamente le case occupavano una cuadra intera, ma man mano che le famiglie crescevano le case venivano divise e questo e' il motivo per cui le case qui si sviluppano tutte in lunghezza: la facciata e' stretta e le stanze si susseguono una dopo l'altra, affacciate su un lungo corridoio. Non so se questa storia e' vera, ma non riesco a immaginare quale altro motivo potrebbe spingere qualcuno a costruire una casa in maniera cosi' bizzarra. Il corridoio di casa mia e' lungo 50 metri, esattamente mezza cuadra.

Le case sono basse, al massimo un piano al di sopra del pian terreno, perche' il terreno sabbioso dell'Amazzonia non permette altezze superiori. Di solito il “secondo piano” (che in Italia chiamerei primo, visto che il pian terreno per noi conta come il piano numero zero) e' leggermente piu' stretto del primo piano, cosa che permette di lasciare aperto un pezzo di soffitto del corridoio del primo piano, e far entrare aria e luce. Senza questo accorgimento le stanze centrali sarebbero completamente buie. Anche il corridoio del secondo piano ha una apertura in cima o di lato, che quindi da direttamente al cielo.

La mia abitazione segue esattamente questo schema. Pero' ogni stanza e' stata trasformata in un mini appartamento con bagno proprio, la prima stanza sul corridoio e' la cucina, e uno spazio all'ingresso serve da sala da pranzo. Praticamente abito nella versione amazzonica di una casa di ringhiera. Io sto nel corridoio alto, al secondo piano. Quando sono in sala da pranzo, davanti a me ho un muro tagliato da cui si vede il cielo, e spesso entra una piacevole brezza: sono dentro casa ma e' come se mangiassi sul terrazzo. Un bizzarro miscuglio di dentro e fuori, alla ricerca di un po' di frescura...

Certo le case migliori devono essere le capanne degli indios. Non hanno il diabolico tetto di lamiera che qui regna sovrano, e essendo piu' piccole non danno il senso di angustia che alcune di queste case-budello comunicano. Per molti pero' la lamiera e' un simbolo di progresso rispetto al tetto di legno e frasche di palma intrecciata. La lamiera non necessita la manutenzione che bisogna dedicare al tetto in legno e frasche, ma con il sole si riscalda e trasforma la casa in un forno. Se poi c'e' un secondo piano, quello sara' ancora piu' caldo. Le case piu' cittadine hanno anche un sottotetto di legno, che isola un po' le povere carni umane da questo calore umido che in certi momenti quasi non fa respirare, ma non credo che le case piu' abborracciate che vedo fuori dal centro possano permettersi tali accorgimenti. Come fanno? Semplice, si vive fuori, in strada, e con le porte sempre aperte. Si cucina, ci si riposa, si mangia, si parla, si cullano i bambini, si gioca e si cuce sotto gli occhi di tutti.

All'interno delle cuadre pero' c'e' un mondo nascosto. Da fuori, una cuadra sembra un blocco compatto, vista da dentro invece si vede tutta una composizione di pezzettini alti e bassi, case a un piano solo alternate a case a due piani, piccoli giardini e terrazzini, cortili fioriti o addirittura alberati. Proprio sopra la mia stanza ad esempio c'e' un terrazzo che serve da lavanderia, meta' della sua superficie e' coperta da un tetto, e ha pareti da tutti i lati, ma se mi metto in punta di piedi, oltre le pareti vedo la mia cuadra da dentro: tetti rabberciati e splendide palme, svolazzo di uccelli e felci cresciute in posizioni improbabili, sui cornicioni o in mezzo a una parete verticale, terrazzini a torretta appena piu' alti del mio e casette basse basse in fondo. La sorpresa e' grande; come a Pisa, quando si scopre che i palazzi storici hanno al loro interno giardini insospettabili.